Autolesionismo negli adolescenti: un grido silenzioso da comprendere e accogliere

L’adolescenza è una fase di profondi cambiamenti fisici, emotivi e psicologici. Durante questo periodo, molti giovani si trovano a dover affrontare sentimenti di ansia, depressione o inadeguatezza. Tra le risposte a questo malessere interiore, l’autolesionismo emerge come un fenomeno sempre più diffuso, spesso vissuto in silenzio. Comprendere le cause, i segnali e le strategie di intervento diventa essenziale per offrire supporto ai ragazzi in difficoltà.

 

Il significato dell’autolesionismo

L’autolesionismo è l’atto di infliggersi volontariamente ferite o danni fisici senza l’intento suicidario. Le forme più comuni includono tagli, bruciature, graffi, colpi autoinflitti o lo strapparsi i capelli. Sebbene possa sembrare una richiesta di attenzione, per molti adolescenti rappresenta un modo per esprimere e modulare emozioni difficili da gestire o comprendere.

La pelle diventa così un veicolo espressivo del dolore interiore, una superficie su cui imprimere il proprio disagio. In ambito terapeutico, è fondamentale interpretare il significato della ferita: quale messaggio sta cercando di comunicare il giovane? Comprenderlo aiuta a trovare percorsi di supporto più efficaci.

 

Cause e fattori scatenanti

L’autolesionismo non compare improvvisamente, ma è spesso il risultato di un accumulo di tensioni emotive. Tra le principali cause troviamo:

  • difficoltà nella comunicazione emotiva: l’incapacità di esprimere il proprio dolore porta a cercare modi alternativi per manifestarlo;
  • isolamento e incomprensione: sentirsi soli o giudicati può accentuare il bisogno di trovare una valvola di sfogo fisica;
  • pressioni sociali e scolastiche: il confronto costante e il timore di non essere all’altezza possono generare frustrazione e sofferenza;
  • bassa autostima: una visione negativa di sé può alimentare il desiderio di punirsi;
  • esperienze traumatiche e abusi: eventi dolorosi non elaborati possono manifestarsi attraverso comportamenti autolesivi;
  • gestione dell’aggressività: alcuni studi evidenziano come l’autolesionismo possa derivare da difficoltà nel regolare emozioni come rabbia e frustrazione.

 

Le diverse forme di autolesionismo

Lo psichiatra Favazza (1996) ha distinto tre principali tipologie di autolesionismo:

  1. autolesionismo maggiore: gesti gravi ma rari, come l’auto-amputazione;
  2. autolesionismo stereotipato: azioni ripetitive come percuotersi o graffiarsi;
  3. autolesionismo superficiale/moderato: il più diffuso tra gli adolescenti, che include comportamenti come strapparsi i capelli o scorticarsi la pelle.

L’antropologo Le Breton (2003) descrive l’autolesionismo come una sorta di “rito ordalico”, in cui il dolore diventa un mezzo per affrontare emozioni insopportabili. Il corpo, in questo senso, diventa uno spazio su cui incidere il proprio malessere.

 

Un fenomeno prevalentemente femminile?

La letteratura scientifica evidenzia una maggiore diffusione dell’autolesionismo tra le adolescenti. Studi di D’Agostino, Fabi e Sneider (2018) suggeriscono che le donne mantengano un’integrazione più forte tra corpo e mente, utilizzando il corpo come mezzo di espressione del disagio. Al contrario, gli uomini tendono a esternare le emozioni attraverso comportamenti più diretti o aggressivi.

Altri studi, come quelli di Sourander (2006), indicano il genere femminile come fattore predittivo dell’autolesionismo in adolescenza, in associazione a una gestione emotiva complessa e a un ambiente familiare disfunzionale.

 

I segnali da non sottovalutare

Riconoscere i comportamenti autolesivi non è sempre facile, poiché molti adolescenti nascondono le loro ferite per paura del giudizio. Tuttavia, alcuni segnali possono indicare la presenza di questa problematica:

  • isolamento sociale;
  • cambiamenti improvvisi dell’umore;
  • declino delle prestazioni scolastiche;
  • disturbi del sonno e dell’alimentazione;
  • uso di abbigliamento coprente anche in climi caldi;
  • presenza di tagli o lividi inspiegabili.

 

Il ruolo della famiglia e della terapia

Di fronte all’autolesionismo, la reazione immediata dei genitori è spesso di shock o panico, ma è fondamentale mantenere la calma. Alcuni consigli per affrontare la situazione includono:

  • evitare giudizi e reazioni impulsive: accogliere l’adolescente con empatia può aiutarlo a sentirsi compreso;
  • ascoltare senza minimizzare: creare uno spazio sicuro per l’espressione delle emozioni favorisce un dialogo aperto;
  • suggerire strategie alternative di coping: promuovere attività creative o sportive come valvole di sfogo può ridurre la necessità di ricorrere all’autolesionismo;
  • cercare aiuto professionale: il supporto di uno psicologo può essere determinante per affrontare il problema in modo strutturato.

 

La terapia familiare come risorsa

Il terapeuta Andolfi (2015) evidenzia il valore del setting terapeutico familiare nel trattamento dell’autolesionismo. Il sintomo, infatti, può rappresentare una porta d’accesso alle dinamiche familiari disfunzionali. Aiutare i genitori a comprendere il disagio del figlio e a migliorare la comunicazione può favorire un cambiamento positivo.

 

Conclusioni

L’autolesionismo in adolescenza è un fenomeno complesso, con radici profonde nelle dinamiche emotive, sociali e familiari dei giovani. Non si tratta di un semplice capriccio o di una richiesta di attenzione, ma di un segnale di sofferenza che merita ascolto e comprensione.

Affrontare l’autolesionismo richiede un approccio multidimensionale, che coinvolga la famiglia, la scuola e i professionisti della salute mentale. Investire nella prevenzione e nella sensibilizzazione può fare la differenza, offrendo ai giovani strumenti alternativi per gestire il dolore emotivo. Solo attraverso un’accoglienza empatica e un’intervento tempestivo, è possibile trasformare la ferita in una feritoia, uno spazio di nuove possibilità di crescita e consapevolezza.

 

Fonti

  • Favazza, A. R. (1996). Bodies under siege: Self-mutilation and body modification in culture and psychiatry (2ª ed.). Johns Hopkins University Press.
  • Le Breton, D. (2003). Signes d’identité: Tatouages, piercings et autres marques corporelles. Métailié.
  • D’Agostino, A., Fabi, E., & Sneider, E. (2018). Direct and indirect self-injury: Is it really all the same? Mediterranean Journal of Clinical Psychology, 6(1).
  • Sourander, A., et al. (2006). Childhood predictors of deliberate self-harm and suicide attempt among adolescents: Findings from the Finnish Nationwide 1981 Birth Cohort Study. Archives of General Psychiatry, 63(9), 1112–1119.
  • Andolfi, M. (2015). Multilayered family therapy. Karnac Books.

Autolesionismo negli adolescenti: un grido silenzioso da comprendere e accogliere

Fonti

  • Favazza, A. R. (1996). Bodies under siege: Self-mutilation and body modification in culture and psychiatry (2ª ed.). Johns Hopkins University Press.
  • Le Breton, D. (2003). Signes d’identité: Tatouages, piercings et autres marques corporelles. Métailié.
  • D’Agostino, A., Fabi, E., & Sneider, E. (2018). Direct and indirect self-injury: Is it really all the same? Mediterranean Journal of Clinical Psychology, 6(1).
  • Sourander, A., et al. (2006). Childhood predictors of deliberate self-harm and suicide attempt among adolescents: Findings from the Finnish Nationwide 1981 Birth Cohort Study. Archives of General Psychiatry, 63(9), 1112–1119.
  • Andolfi, M. (2015). Multilayered family therapy. Karnac Books.

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